Compilation
Che questo sia il tempo degli omaggi e della scarsa fantasia, non è una novità ormai. Eppure, pur sull’onda di compile simili come quella Dillatroit targata 2012, We Love Detroit è qualcosa di più di una semplice lettera d’amore alla città natale della techno. E’ uno sguardo lungimirante sul passato e sul futuro di un mondo in evoluzione, mai nostalgico ed oberato di dietrologie, ma ottimista e propositivo.
Uscita su We Love Recordings, etichetta affiliata con i promotori di We Love Ibiza, la compilation consta di due parti, non mixate, affidate alla selezione rispettivamente di chi della techno ne è stato l’architetto innovatore, Derrick May, e di colui che ne è pieno titolo considerato il discepolo/narratore funktronico per eccellenza, Jimmy Edgar, con l’intento di voler ripercorrere in musica una sorta di progressione temporale della scuola nata nella città americana, dividendosi con equità tra classici storici e nuove leve, legati alla città solo per affinità di sound e non necessariamente di radici. May ed Edgar compagni di banco/letto è cosa piuttosto insolita, anche se gli aneddoti li fanno andare a braccetto: da adolescente, Edgar suonava alle feste in città accanto al trio techno delle meraviglie, Atkins, May e Saunderson, e si narra che all’epoca non fosse a conoscenza della loro statura come padri fondatori del suono di Detroit, il che lo ha reso in futuro decisamente più libero nell’approcciarsi al genere. Quello di May è un insieme classico per chi lo conosce, con quel suo immancabile mix tra Detroit electro e Chicago house, un romantico love-affair che rifugge dal documentare minuziosamente il momento singolo, ma distilla un intero movimento in una collezione che è una vera e propria summa a 360 gradi, dilettandoci con brani di produttori new school del calibro di Kai Alce e Andres, annidati al fianco di colossi come John Beltran e Carl Craig, con un buffet variegato di attuali paladini europei come Kink, Petar Dundov e Benny Rodrigues. Edgar, parallelamente, abbraccia con fervore l’adesso e non disdegna l’auto-promozione nel processo, con due delle sue produzioni presenti al fianco di accoliti e amici come il bambino prodigio di casa Wild Oats Kyle Hall, Coyote Clean Up (un amico di scuola superiore), Darling Farah e Kris Wadsworth, non dimenticando Berlino con Lando Kal e Magda, e strizzando l’occhio alla space-disco label 100% Silk con una produzione Magic Touch (con un pre-Bookworms Nik Dawson).
Synaptic Transmission di John Beltran apre la parte di May splendidamente, con un tappeto smooth condito da un groove di batteria incisivo e una linea di basso a pompare irresistibile. La superficie balearic-jazz si fa ancora più spiccata in Power Thru Pt 3 (Mush di Sax Dub) di Kai Alce, con l’assolo del sax tenore che fa tanto Robert Owens. Il swing Latin-style dà a Pentimento di Yotam Avni una potente spinta in avanti prima di un accento in 4/4 che riporta la melodia al terreno di Detroit con una falange di sintetizzatori al seguito degni dei migliori Kraftwerk. In Distant Shores, Petar Dundov ci lancia in un trip dinamico di 12 minuti attraverso una stratosfera di synth progressive e ritmi psichedelici alla Cluster, mentre la recente Sandstorms di Carl Craig è il prototipo elegante e lucido di pezzo da set alla May, con un disegno sintetico-celebrale i cui insistenti ritmi pulsano come il miglior “ghost in the machine” detroitiano. E mentre il nostro Federico Grazzini disegna sapientemente origami minimal-groovey, il brillante Dub Mix firmato Kink del campione vocale di Row Rachel Hand Made sposa la base cantata con sincopi funk singhiozzanti dal sapore Stardust, e Andres chiude con una splendida New For U, che è il trionfo della soulful techno odierna.