Album
Occhio a non scambiarlo per il solito trap boy scontato e, come tale, facilmente liquidabile. Achille Lauro è sempre stato un corpo (anche letteralmente) estraneo e difficilmente inscatolabile. Pour L’Amour è ad oggi il suo disco più interessante e ricco di spunti, sia a livello testuale che musicale. L’iniziale Angelo Blu sembra presa di peso da un eventuale terzo disco di Cosmotronic: il pezzo è una lisergica cavalcata dance con voci strascicate e nebulizzate, e stilettate di synth orgogliosamente anni Novanta (l’immaginario di riferimento è quello di Gigi D’Ag, espressamente omaggiato nel riferimento a L’Amour Toujours). BVLGARI potrebbe sembrare il solito anthem virale con il brand di turno mantrizzato all’infinito (pensiamo a Versace dei Migos) ma sposta il tutto su un piano più dancefloor.
Fin qui la cosa rimane godibile e poco più, ma si capisce che c’è dell’altro con Mamacita: iniziano a palesarsi spezie caraibiche, anche se il pezzo – seppur coinvolgente – sembra poco più della solita smargiassata di dancehall annacquata Con Amore Mi viene però esplicitata compiutamente quell’idea di samba-trap che Lauro intende patrocinare. Il connubio trap-Sud America prosegue in Burro e marmellata, Dolores, Non Sei Come Me, e nelle chitarre elettriche à la Santana di Ammo’. È un trend abbastanza trasversale nel pop italiano recente, vedi Toffolo e la sua svisata per la cumbia colombiana (e tutta la pletora di artisti La Tempesta al seguito, Cacao Mental e Mr. Island su tutti), ma anche Populous, e pure MZOO Festival dedicherà al fenomeno ampio spazio. Tra chitarrine, fiati e ritmiche esotiche, il modaiolo pastiche è messo al servizio di allegorie infantili e abbastanza intuitive che stemperano i soliti cliché tra storie di droga e vita di strada. Una popolosa giungla in Amore Mi, una cartoonesca gastronomia in Burro e Marmellata dove la farina è la cocaina, insomma ci siamo capiti.
A livello linguistico vale la pena spendere qualche parola su Thoiry Remix, trionfo dell’espediente tecnico utilizzato per lo più da Quentin40. Le parole sono mozzate di una o anche due sillabe, in modo che le chiusure di verso rimino tra loro assecondando la parte centrale della parola, anziché quella finale. Nel brano in questione anche Lauro e Gemitaiz adottano questa tecnica, creando strofe vagamente no-sense dove le rime imperfette e le assonanze tra parole mozzate creano un fertile e divertente delirio camp: «Bocca della Verità e ‘sti raga’ opere d’a’ / Facci un ritratto, è Rembrandt / Fanno le foto ai miei fra’ / Pa-Pa-Pa-Pablo Pica’ / Facce girate al contra’ / Giro coi panta’ leopa’ / Fra’ surrealismo e Duchamp». È una trovata che vivacizza sicuramente lo schema rimico dei testi, scoprendo incastri inediti che esulano allegramente e consapevolmente dagli ormai stratriti cliché del genere. Il tutto prende le suggestioni arty del cafonissimo video di Beyoncé e Jay-Z e lo intamarrisce ulteriormente ammantandolo di una strascicata indolenza tutta romanesca, e l’intingolo diverte.
La cosa va avanti in El Ninho, dove l’ambiguità della figura descritta procede attraverso un giochino di chiaroscuri muratore/spacciatore che si articola in versi capolavoro come «El ninho è un muratore con le mani tutte bia- (rattata) / Alza un polverone dove non si fa (rattata)» e in soluzioni fonetiche, spostando gli accenti per restare a pelo nella metrica («Dice lavòra sì ma lui non lavorà»). Lauro è consapevole di quello che sta facendo e di dove vuole andare a parare, delle sue fonti e dei suoi debiti (Purple Rain è praticamente un’auto-citazione continua: del pezzo di Keanu Reeves di Gemitaiz, di Mary Jane di Madman, di Maria di Santana), ma anche di essere il primo con una tale visibilità tra i giovanissimi a tentare certe cose. Lui ne parla come di un «elogio dell’ambiguità» e, in effetti, spinge a fondo musica e corpo in una contaminazione di ridicolo e sublime, equivoco e à la page, che risulta irresistibile.