Recensioni

Solitamente non è bene fidarsi di chi si definisce “bizzarro”: denota simulazione, mentre il bizzarro è tale solo perché non si vede così. H. Hawkline non è strano, è bravo, sa scrivere canzoni di pop-rock psichedelico in quella maniera inglese che nei primi anni Settanta ha prodotto dischi memorabili. A sua volta, The Pink Of Condition è un disco che si fa ricordare. Già al secondo brano (Isobelle) si è incollato al cervello e non se ne può fare a meno per giorni, da lì alla finale Lou Reed-iana Back In Town.
Huw Gwynfryn Evans, vero nome dietro a H. Hawkline, è gallese, vive a Cardiff ma viene dall’isola di Lundy. Registra insieme a Cate Le Bon – già collaboratrice storica di Huw – a Los Angeles, ma i suoi riferimenti sembrano solidamente ancorati alla vecchia Gran Bretagna, da Daevid Allen a George Harrison e Kevin Ayers (Rainy Summer). Huw Gwynfryn sa perfettamente come essere pop senza contemporaneamente essere prevedibile (dentro In Love tiene insieme Syd Barrett e Daniel Johnston!). H. Hawkline potrebbe essere avamposto della ennesima invasione inglese negli States, proprio perché supera a sinistra chi negli USA sembra averlo anticipato. Everybody’s On the Line ricorda sì Ariel Pink, ma denota, come tutto The Pink Of Condition, che il talento di Hawkline è superiore a quello di Ariel. H. ricorda piuttosto il maestro di Pink, quell’ipertrofico di R. Stevie Moore, ma diversamente da lui è molto consapevole che essere cantautore significa trovare la propria taratura nella bilancia tra dosare e osare. Huw non strafa, produce un disco di dodici canzoni, e neanche una di queste è superflua o non ponderata (sentite come, appena prima di stancare, Dirty Dreams cambi direzione e chiuda in maniera epica).
Altro mito da sfatare: The Pink Of Condition non è un disco lo-fi. Sa essere delicato – alla maniera di Connan Mockasin (Ringfinger) – ma soprattutto diretto, maneggia la voce per dare a quella una presenza in primissimo piano (Sticky Slithers) che è tutt’altro che a bassa definizione – anche se H. vuole farcelo credere, a volte (Moddion, che pare uscire dai New York Gong, a proposito di inglesi esodati in America). Lo ripetiamo: la grandezza di Hawkline è l’equilibrio. È uno di quei giovani che sanno da subito le regole del gioco. Questo disco farà invidia, ma ancora di più sarà ascoltato, consumato.