Recensioni

Di notizie dal pianeta Jennifer Gentle non se ne avevano ormai da tempo immemore. L’ultimo lavoro in studio (se si escludono le folli astrazioni di Concentric) è The Midnight Room del 2007 e, per i tempi attuali, equivale più o meno alla preistoria. Al contrario, andando a spulciare tra le attività del deus ex-machina e ultimo superstite della band originale Marco Fasolo, lo si trova ben presente nel panorama nazionale in veste di musicista e producer (Verdena, I hate my village, BSBE) e internazionale (per Sub Pop con il progetto Universal Daughters). Il ritorno è affidato a un album eponimo che, proprio a causa della lunga attesa, ha creato le aspettative del lavoro capitale e ha aperto due scenari opposti ma altrettanto validi: rigenerazione artistica o testamento? Qualche mese fa lo stesso Fasolo in un’intervista definiva a chiare lettere cosa fosse per lui un’opera senza tempo, ovvero una cosa che sa «essere ciò che deve» («Una persona può fare un capolavoro quando sa bene chi è e cosa vuole, e quando riesce a trovare un modo, anche se non in maniera perfetta, per creare uno specchio di quella cosa nella realtà»).
Probabilmente il progetto Jennifer Gentle è ancora alla ricerca di quel posto nel mondo definito e autodeterminato, poiché ciò che emerge dalle diciassette tracce è una rielaborazione studiata, organica e ragionata delle maggiori influenze della band e anche, di conseguenza, un lavoro enciclopedico che pesca all’interno di venti anni di carriera. C’è l’amore per i Swinging Sixties (Beautiful girl, Do you hear me now?, What in the world) con i Kinks e i Beatles a far sempre capolino, ci sono gli omaggi a Queen e Pink Floyd (Just because, More than ever) e la quota 80s, tra industrial e Depeche Mode (My inner self) ma anche Grandaddy, Spiritualized e la lista potrebbe continuare. Insomma tanti pezzi diversi a comporre un mosaico liquido, volatile, di cui si fa fatica a fissare momenti singoli e che comincia a funzionare come corpus (forse) solo dopo molti ascolti: è la vittoria delle individualità, la sfilata delle esperienze singole (quella di Marco Fasolo compresa) come fossero abiti da Carnaby Street a scapito di una trama complessa, di un concept, di un output attraversato da un fil rouge. A rendere ampiamente sufficiente questo disco contribuisce in maniera decisiva la maniacale attenzione a sound e missaggio, ma viene praticamente naturale chiedersi quanto questo album rappresenti l’addio al progetto Jennifer Gentle e, come naturale conseguenza, il passepartout verso un next level artistico per Marco Fasolo.