La sensazione è che l’effetto long-tail coniato da Chris Anderson nell’ormai lontano 2004 sia oggi più che mai realtà, con una proposta talmente ampia e trasversale in cui diventa quasi impossibile non solo riuscire ad individuare dei punti fermi ben definiti, ma anche riuscire semplicemente ad avere un quadro completo dell’here and now musicale. Certo, una manciata di prevedibilissimi bestseller non sono mancati (che l’album più venduto dell’anno sarebbe stato l’impresentabile Divide di Ed Sheeran l’avevamo già scritto all’epoca della recensione), così come non sono mancate le prevedibili conferme da parte di artisti che storicamente ci hanno abituati a prodotti pregevoli, ma escludendo questi rari e isolati casi, la discografia attuale è letteralmente in mano a nicchie che non sono più nicchie, a movimenti che non sono più movimenti e a una pop music che, nella sua forma più classica, ha perso (definitivamente?) l’appeal dei decenni scorsi. Questo vale sia a livello commerciale che a livello prettamente qualitativo: quest’anno sono usciti decine e decine di album di alto/altissimo valore ma al contempo non è mai stato così difficile individuare tre/quattro veri capolavori destinati a fare la storia della musica contemporanea. Inoltre, non abbiamo avuto una nuova dubstep, un nuovo wonky, un nuovo footwork, un nuovo grime, una nuova vaporwave, una nuova chillwave, una nuova witchhouse, una nuova synthwave o una nuova Pc music, ovvero un nuovo movimento contro-culturale in grado di smuovere un po’ l’underground sia a livello musicale che estetico.
DAMN. di Kendrick Lamar è con ogni probabilità l’album simbolo di questo 2017, capace sia di avere un enorme impatto mediatico (è tra i tre album più venduti dell’anno con circa 3,5 milioni di SPS) sia di catalizzare i favori della critica mondiale (sull’aggregatore AnyDecentMusic è l’album di quest’anno con la media voto più elevata), ma non possiamo evitare di far notare che nonostante sia un grande – grandissimo – lavoro, non può competere con i due masterpiece pubblicati precedentemente dal rapper americano (good kid, m.A.A.d city e To Pimp a Butterfly). In ogni caso, nel 2017 Kendrick si è definitivamente preso il trono che gli spetta(va): certo, troppo spesso lo troviamo a sguazzare in evitabili collaborazioni con il male della discografia moderna (Imagine Dragons, Robin Thicke, Maroon 5, Taylor Swift, U2…), ma quando si tratta di fare le cose seriamente non c’è assolutamente gara. Una disarmante superiorità che tra l’altro dimostra anche sul fronte live (al Primavera 2014 fu incredibile, e a giudicare dai video ora è anche meglio, chissà se (ri)passerà mai da queste parti…). Muovendoci sul versante chitarre, lo stesso identico ragionamento, ridimensionandone l’importanza, è applicabile a A Deeper Understanding dei War On Drugs, altro album maestoso sotto molti punti di vista ma, a conti fatti, leggermente inferiore a Lost in the Dream. Questo discorso, in ogni caso, vale un po’ per tutti i giganti del nuovo millennio che troverete ai piani alti di molte delle classifiche di fine anno: Sleep Well Beast dei The National, American Dream degli LCD Soundsytem o Masseducation di St.Vincent, tutti ottimi album ma – a conti fatti – non impattanti quanto alcune perle pubblicate in passato dagli artisti in questione. Se si parla di giganti del nuovo millennio mancano amaramente all’appello gli Arcade Fire, autori di un album – Everything Now – praticamente indifendibile sotto tutti i punti di vista.
Fortunatamente abbiamo avuto anche artisti arrivati quest’anno agli apici delle proprie carriere con album-manifesto di enorme valore: A Crow Looked at Me di Mount Eerie è a dir poco splendido nella sua catartica ed infinita tristezza (ma non è certamente il tipo di album eleggibile ad AOTY), il disco omonimo di Arca si fa portavoce di una compiutezza che mancava alle precedenti – seppur ottime – uscite a suo nome, Relatives in Descent è con ogni probabilità l’opera definitiva dei Protomartyr, mentre Flower Boy è, di distacco, la cosa migliore mai pubblicata da Tyler the Creator dai tempi del singolo Yonker. Folta anche la lista delle grandi conferme al secondo disco (cosa, come sappiamo, non così scontata): si va da Big Fish Theory di Vince Staples al sublime Antisocialites degli Alvvays, passando per Ooz di King Krule, Turn Out the Lights di Julien Baker e Party di Aldous Harding.
Ancora una volta imprescindibili, almeno per quanto mi riguarda, i lavori targati Perfume Genius (No Shape), Godspeed You! Black Emperor (Luciferian Towers), Converge (The Dusk in Us), Ariel Pink (Dedicated to Bobby Jameson) e Destroyer (Ken), mentre tra i lungamente attesi ritorni eccellenti meritano senza dubbio una posizione d’onore Slowdive degli Slowdive e Science Fiction dei Brand New (e ci aggiungiamo pure Last Place dei Grandaddy, contenente tre/quattro brani senza tempo). A proposito di ritorni sulla lunga distanza, anche gli album dei Fleet Foxes (Crack-Up) e Grizzly Bear (Painted Ruins) meritano il loro spazio, ma chi scrive ha faticato più del previsto ad apprezzarli. Sempre su territori rock/pop assolutamente meritevoli anche gli album targati King Gizzard & the Lizard Wizard (specialmente Flying Microtonal Banana), Beach Fossils (Somersault) e Alex G (Rocket).
Abbandonando le chitarre e i suoni più classici, il 2017 è stato fondamentalmente un anno d’oro per l’hip hop mondiale: tralasciando i già citati Kendrick Lamar, Tyler The Creator e Vince Staples è impossibile non citare l’opera terza dei Run The Jewels (pubblicata a fine 2016), l’interessante discorso portato avanti dai Brockhampton (SATURATION II in primis), l’intelligente Who Told You to Think??!!?!?!?! di Milo, la zampata di Big K.R.I.T. (4eva Is a Mighty Long Time) e, sul fronte UK, Yesterday’s Gone di Loyle Carner e Gang Signs & Prayer di Stormzy.
Per quanto riguarda gli esordi dell’anno la sfida è aperta tra Process di Sampha, Take Me Apart di Kelela e Neo Wax Bloom di Iglooghost con a seguire i lavori degli Idles, Charly Bliss e Kelly Lee Owens (e sulla stessa onda Kedr Livanskiy). Parlando invece di album che ho ascoltato tanto e sempre con grande piacere (pur non essendo materiale da tramandare ai posteri) cito i lavori degli Hater, Makthaverskan, Courtney Barnett & Kurt Vile, John Maus, Hoops, Gold Star, Corbin e Star Tropics. Purtroppo ho sacrificato parecchi ascolti di elettronica & dintorni e, a parte le uscite già citate, mi tocca fermarmi a promuovere il ritorno di GAS, Jlin, Forest Swords, William Basinski, Blanck Mass, Oneohtrix Point Never, Four Tet e il proseguimento dell’opera Everywhere at the End of Time di The Caretaker.
La lista potrebbe continuare (la trovate comunque in fondo all’articolo al netto delle probabili sorprese degli ultimi giorni), ma a parole vorrei concentrarmi sugli aspetti mediatici e sociologici della musica del 2017. In questo senso, a livello globale è stato senza dubbio l’anno della definitiva affermazione della trap: chiaramente sarebbe ingiusto ed errato non ricordare che il genere, per come lo conosciamo oggi, esiste da un decennio e che già negli scorsi anni abbiamo assistito alla sua definitiva consacrazione, ma mai come negli ultimi mesi è sotto gli occhi di tutti il dominio – no, non stiamo esagerando – di artisti trap e affini: negli USA Migos, Post Malone, Big Sean, Lil Uzi Vert, Travis Scott, 2 Chainz, Kodak Black vendono più di Jay-Z, con tutta una schiera di (Sound)cloud-trappers pronti ad esplodere (da Playboi Carti fino all’esasperazione delle pose brainless promosse da XXXTENTACION o Lil Pump) e ad uscire dai confini più battuti seppur con risultati ancora rivedibili (si pensi alla trap-emo del compianto Lil Peep, all’emo-trap di Barren o alle oscurità lo-fi dei $uicideboy$ o di BONES). L’aspetto più interessante di tutto ciò arriva proprio dalle contaminazioni con la melodia e più in generale da tutt’altro che velate velleità pop, dalla etichetta (volutamente esagerata) di Beatles of this generation affibbiata ai Migos all’auto-definizione di boyband dei Brockhampton, il dialogo con quello che comunemente viene definito pop è sempre più pressante. Insomma, certamente la musica migliore di questi mesi non passa attraverso l’esercito della trap (ci è passata, lo scorso anno, con l’ottimo Imperial di Denzel Curry, peraltro vicino a certe sonorità solo in alcuni frangenti) ma il fermento è veramente tanto e la propulsione culturale (soprattutto tra i giovanissimi) è senza dubbio di quelle generazionali. Sarebbe errato rimanere nell’indifferenza. Quanto durerà? Difficile dirlo, probabilmente ancora qualche mese ma, in termini di impatto sociale, quello che abbiamo visto negli ultimi 2-3 anni potrebbe essere più vicino al grunge che alle risibili epopee nu metal e (fake)emo degli anni zero.
Una volta tanto, ma con il consueto ritardo, anche in Italia si è mosso qualcosa. Complice anche l’inserimento dello streaming nel campione utilizzato per realizzare le classifiche di vendita, la trap (ma più in generale il rap) ha completamente stravolto il mainstream italico con Rkomi, Achille Lauro, Tedua, Izi, Laioung, Capo Plaza e, soprattutto, Sfera Ebbasta, Dark Polo Gang e Ghali, capaci senza problemi di rivaleggiare in termini numerici con le superstar della canzone italiana. E’ più facile trovare il nuovo Jovanotti tra questi nomi che tra le aspiranti popstar di X Factor/Amici/Sanremo. Oltre che dalla esplosione del trap-rap, la transizione della discografia italiana nel 2017 è passata anche attraverso alla (definitiva?) incursione nella cultura popolare del cosiddetto “indie italiano” e, parallelamente, del fortunato mix tra hip hop e cantautorato pop. Nel primo caso, a parte i più seriosi e già affermatissimi Brunori Sas e Baustelle, ad avere la meglio sono state le proposte maggiormente radio-friendly (TheGiornalisti in particolare) e tutta una schiera di newcomers dai contorni post-trash talmente indecifrabili da essere perfetti per accendere discussioni e per ampliare il passaparola sui social: Pop_X, la trollata-non-trollata Cambogia, Gazzelle, Galeffi, Coma_Cose, la synth-pop-wave di San Diego fino al battutissimo caso/bolla mediatica LIBERATO. Nel secondo caso all’ombra di Coez (capace di centrare una hit-tormentone) abbiamo Carl Brave & Franco 126, Mecna, Willie Peyote, Frah Quintale e Dutch Nazari. Anche in questo caso non siamo certamente parlando degli autori della migliore musica italiana in circolazione ma siamo convinti che una ventata di aria fresca in un mercato storicamente stazionario e impermeabile alle novità come quello italiano possa solo fare del bene. In tutto questo la grande provincia sembra essere tagliata fuori con Milano e Roma assolute accentratrici. DASHBOARD INTERATTIVA
Tra le cose migliori uscite dal bel paese negli ultimi mesi mi sento invece di promuovere a pieni voti e senza ripensamenti Clap Clap (A Thousand Skies) e Havah (Contravveleno). Molto bene anche Cesare Basile con U Fujutu su nesci chi fa? e Andrea Laszlo De Simone (Uomo Donna), forse il più promettente tra le nuove leve. Conferme anche da Colapesce, Johann Sebastian Punk, Shizune, Umberto Maria Giardini, Brunori Sas, Baustelle, Cosmetic, Ninos Du Brasil, Christaux (la nuova creatura di Clod), Alessandro Cortini e Caterina Barbieri mentre in zona prettamente young-friendly Colombre e Germanò mi hanno piacevolmente convinto.
Tornando sul fronte internazionale, escluse le ovvie cifre spaziali del trascurabilissimo Reputation di Taylor Swift (ha superato, come i precedenti tre album, il milione di copie nella prima settimana negli USA), il 2017 non è stato un anno particolarmente fortunato per le (white) pop-diva, generalmente lontane dai fasti commerciali del passato: Lorde (il suo Melodrama è comunque meritevole), Lana Del Rey, Katy Perry, Kesha, Demi Lovato, Halsey e Miley Cyrus hanno tutte raccolto abbastanza poco e in generale si ha la sensazione che un certo tipo di proposta in questo momento sia penalizzata da un mercato che è certamente frenetico ma anche meno schiavo della passività dovuta alle imposizioni dall’alto tipiche dei media tradizionali. Alla stregua di questo calo di interesse anche l’era dell’art-pop elettronico tanto in voga nei circuiti hip nella prima metà del decennio sembra ormai giunta al termine. DASHBOARD INTERATTIVA
Soffre nuovamente – anche per motivi ormai ben consolidati – il mondo del rock, fortemente debilitato da un periodo di grande magra tra le maglie di un mainstream che da ormai troppo tempo (facciamo vent’anni?) sembra avviluppato su se stesso con i consueti big a racimolare telefonatissime ed effimere attenzioni basate o sui ricordi del passato (per intenderci, nel 2016 i più venduti erano stati Metallica, Rolling Stones e Red Hot Chili Peppers…) o su soluzioni indegnamente ruffiane a dir poco irritanti (Imagine Dragons o Linkin Park ad occupare per qualche mese il posto dei Coldplay). Certo, i Queens Of The Stone Age sono ancora solidi ma non riescono a smuovere più di tanto. Poi ci sono sempre i Foo Fighters, veri maestri dell’aurea mediocritas con l’ennesimo, dignitoso, compitino (Concrete and Gold). Parallelamente dispiace constatare il calo di ispirazione di due dei nomi che negli scorsi anni hanno tenuto acceso il fuoco del rock in contesti indie (Japandroids e Cloud Nothings). Sul fronte live, invece, il giochino funziona ancora alla grande e continuerà a farlo, perlomeno fino a quando gli eroi rimasti del periodo 60s-90s saranno ancora in giro. Si rimane ancorati al passato tanto che le retromanie e le retrotopie sono state ormai stra-assimilate anche tra il grande pubblico e nella maggior parte dei casi non sono altro che manifestazioni di un subconscio aggrappato alle nostalgie di una spensieratezza perduta. Gli unici che sembrano, per ovvi motivi anagrafici, non subire questo tipo di meccanismo sono proprio gli under-20 e forse è anche per questo che un genere – solitamente restio al dialogo con influenze pre-nuovo millennio – come la trap sta spopolando. Cosa aspettarsi per il 2018? Probabilmente una ulteriore evoluzione delle tendenze socio-mediatiche di quest’anno con una ancora più marcata anti-settorialità stilistica, forti fascinazioni pseudo esotiche (Yaeji, Rina Sawayama, Superorganism…) e un perenne ricambio usa&getta sempre meno imposto dalle major e sempre più derivativo dall’overloading informativo.
Per quanto riguarda i concerti più memorabili dell’anno, sicuramente degni di nota il set dei King Gizzard and the Lizard Wizard al Beaches Brew (Hana-Bi), l’incredibile Kate Tempest al Green Man Festival (The Shins e Shame altri picchi dell’edizione), la terza volta dei War On Drugs ormai una macchina inarrestabile (Fabrique, Milano), il concerto d’addio dei Chairlift (Brooklyn Steele, NY), i Touché Amoré al Covo Club di Bologna e la quarta volta di Father John Misty (Le Trianon, Parigi), probabilmente il più grande performer in circolazione (nonostante un terzo disco, Pure Comedy, inferiore ai primi due).
Voltando pagina per parlare di serie tv è necessario spendere due parole sull’eccessiva vastità dell’offerta, un offerta che sta aumentando di giorno in giorno (facile prevedere un’implosione nel giro di qualche anno) e che rende a dir poco arduo riuscire a rimanere al passo. Ed è un peccato, perché il livello medio è tutt’altro che basso, con il rischio di dover rinunciare per forza di cose a tanti prodotti di qualità. Tra gli appuntamenti che, ovviamente, non mi sono lasciato sfuggire, Twin Peaks ha rappresentato l’apice di tutta la stagione: nonostante l’hype alle stelle è stata un’esperienza unica, forse non rivoluzionaria, ma coraggiosa, appagante nella sua osticità, emotivamente intensa tra nostalgie, grandi WTF e quella sensazione, tipicamente made in Lynch, di star assistendo a qualcosa di superiore. Abbassando, di molto, le velleità a cavallo tra meta-cinema e pura arte (l’episodio 8 rimane oltre, capolavoro assoluto) di Twin Peaks, il 2017 ha segnato anche il ritorno di Stranger Things con una seconda stagione, a mio avviso, coinvolgente ma meno genuina rispetto alla prima (con qualche calo di troppo, vedi il tanto discusso episodio 7). Per un paio di mesi ha tenuto banco Thirteen con alcune trovate sicuramente valide ma con un sapore finale un po’ da grande pubblicità progresso. Più interessanti l’intelligente e corale Big Little Lies (forte di una narrazione avvolgente) e The Handmaid’s Tale, con la sua atmosfera ossessivamente sussurrata. Sempre di livello anche Fargo (V.M. Varga personaggio clamoroso) e tiene molto bene anche The Affair (3° stagione, terminata ad inizio anno). In area comfort zone, le seconde stagioni di Love e Flaked, ancora una volta materiale perfetto per staccare per qualche minuto il cervello. Tra gli abbandoni mi tocca segnalare Mr.Robot e Better Call Saul. Concludendo con i ripescaggi, quest’anno ho – finalmente – terminato Mad Men (assolutamente nulla da dire, una delle migliori serie di sempre) e sto completando Halt and Catch Fire. Avviato anche Mindhunter che, per il momento, ingrana bene. In arrivo entro l’anno il nuovo Black Mirror?
Tra i film visti quest’anno probabilmente quello che, nel complesso, mi ha lasciato di più è stato A Ghost Story, affresco poetico e malinconico dal ritmo quasi impalpabile diretto da David Lowery. Pieni voti anche per il più universale 20th Century Women e per Manchester By The Sea. Tra i film consumati ad inizio anno (ma appartenenti alla stagione precedente) ottimi Toni Erdmann, Arrival e American Honey. Apprezzamenti anche per Dunkirk, nonostante una predilezione per il Nolan più cervellotico, Get Out e Jackie. Menzione d’onore per le visioni surreali di Swiss Army Man e Mother!. Tanto dispiacere per non essere ancora riuscito a vedere Good Time, mentre dita incrociate per una distribuzione imminente di Lucky con il compianto Harry Dean Stanton, The Florida Project, Three Billboards Outside Ebbing, Missouri e Culumbus.
Classifica 2017 (Album con voto superiore al 7):
-
- Kendrick Lamar – DAMN.
- The War On Drugs – A Deeper Understanding
- Mount Eerie – A Crow Looked at Me
- Arca – Arca
- Lcd Soundsystem – American Dream
- Tyler the Creator – Flower Boy
- Perfume Genius – No Shape
- Protomartyr – Relatives in Descent
- The Magnetic Fields – 50 Song Memoir
- The National – Sleep Well Beast
- Vince Staples – Big Fish Theory
- Slowdive – Slowdive
- Alvvays – Antisocialites
- Ariel Pink – Dedicated to Bobby Jameson
- Sampha – Process
- King Gizzard & the Lizard Wizard Flying – Microtonal Banana
- Brand New – Science Fiction
- Godspeed You! Black Emperor – Luciferian Towers
- King Krule – The OOZ
- Julien Baker – Turn Out the Lights
- Converge – The Dusk in Us
- Aldous Harding – Party
- King Gizzard & the Lizard Wizard – Murder Of The Universe
- Beach Fossils -Somersault
- Alex G – Rocket
- GAS – NARKOPOP
- Run The Jewels – RTJ3
- Dirty Projectors – Dirty Projectors
- Thundercat – Drunk
- Milo – Who Told You to Think??!
- Brockhampton – SATURATION II
- Iglooghost – Neo Wax Bloom
- St. Vincent – Masseduction
- Kelela – Take Me Apart
- Jlin – Black Origami
- Kevin Morby – City Music
- Idles – Brutalism
- Kelly Lee Owens – Kelly Lee Owens
- Destroyer – ken
- John Maus – Screen Memories
- Courtney Barnett / Kurt Vile – Lotta Sea Lice
- Everything Everything – A Fever Dream
- Richard Dawson – Peasant
- Broken Social Scene – Hug of Thunder
- Elder – Reflections of a Floating World
- Flotation Toy Warning – The Machine That Made Us
- Fleet Foxes – Crack-Up
- Big Thief – Capacity
- Ryuichi Sakamoto – async
- The Afghan Whigs – In Spades
- Mac DeMarco – This Old Dog
- Forest Swords – Compassion
- Johnny Jewel – Windswept
- Algiers – The Underside Of Power
- Charly Bliss – Guppy
- Loyle Carner – Yesterday’s Gone
- William Basinski – A Shadow In Time
- Communions – Blue
- Kairon; IRSE! – Ruination
- The Bats – The Deep Set
- Clap! Clap! – A Thousand Skies
- Power Trip – Nightmare Logic
- Tim Darcy – Saturday Night
- Stormzy – Gang Signs & Prayer
- Jens Lekman – Life Will See You Now
- Grandaddy – Last Place
- Hater – You Tried
- Bedwetter – Volume 1: Flick Your Tongue Against…
- Blanck Mass – World Eater
- Laura Marling – Semper Femina
- Real Estate – In Mind
- White Reaper – The World’s Best American Band
- The Caretaker – Everywhere at the End of Time ̵ Stage 2
- Ulver – The Assassination of Julius Caesar
- Actress – AZD
- Grizzly Bear – Painted Ruins
- Oh Sees – Orc
- EMA – Exile In The Outer Ring
- Guggi Data – Pop/rock
- Kedr Livanskiy – Ariadna
- Blankenberge – Radiogaze
- Dälek – Endangered Philosophies
- Oneohtrix Point Never – Good Time OST
- Alex Cameron – Forced Witness
- HAVAH – Contravveleno
- Greet Death – Dixieland
- The Dream Syndicate – How Did I Find Myself Here?
- Chelsea Wolfe – Hiss Spun
- Moses Sumney – Aromanticism
- The Caretaker – Everywhere at the End of Time ̵ Stage 3
- Benjamin Clementine – I Tell A Fly
- Four Tet – New Energy
- Makthaverskan – Ill
- Big K.R.I.T. – 4eva Is a Mighty Long Time
- Charlotte Gainsbourg – Rest
1. A Ghost Story
28. Gimme Danger